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Home CATEGORIE Attualità Previsione delle eruzioni vulcaniche. Un compito difficile

Previsione delle eruzioni vulcaniche. Un compito difficile

da
IGV News
-
16 Gennaio 2014

Parco-Nazionale-del-VesuvioNovantamila persone vivono in un villaggio all’ombra del vulcano. La terra è fertile e il vicino lago di acque pescose rendono questo luogo un vero paradiso terrestre. Da oltre due secoli  la montagna è quiescente e non c’è consapevolezza del rischio.

L’alba è appena spuntata, si odono gli uccelli esibirsi con il loro canto. Il cielo è sereno, solo la sommità del monte è nascosta dalle nuvole. Dopo circa un’ora di luce, per alcuni istanti gli uccelli arrestano il loro cinguettio e gli altri animali cominciano a comportarsi in maniera nervosa e strana girando in cerchio all’interno dei recinti. Un attimo dopo, un profondo boato accompagna un tremito della terra che tutti avvertono. Tra lo smarrimento e la paura, la gente cerca di darsi una risposta sulle cause dell’insolito fenomeno. Tutto, poi, si acquieta. Più tardi, di nuovo scosse di terremoto. Dal suolo esalano gas venefici che uccidono piccoli animali. In alcune parti del sottobosco alcune specie vegetali subiscono la stessa sorte.

Interviene il Servizio Geologico. Nel giro di qualche ora, vulcanologi, fisici, geochimici e geologi, attrezzati di tutto punto con sismografi, stazioni GPS, gravimetri, geodimetri laser, tiltmetri ed altri strumenti di misura, realizzano sulla montagna una discreta rete di sorveglianza che si aggiunge all’unica stazione sismografica del posto. I geochimici raggiungono le fumarole e analizzano i gas, rinvenendo percentuali di vapore acqueo, anidride carbonica, anidride solforosa, fluoruro e solfuro di idrogeno. La temperatura è tra 350° C e i 550° C. I gas magmatici convincono gli scienziati che la roccia fusa si sta approssimando alla superficie. Infatti, gli ipocentri dei terremoti migrano verso l’alto perché il magma, risalendo dalle profondità, si fa strada, spinto dai gas, tra le rocce incassanti che, fratturandosi, rilasciano energia elastica con movimenti tellurici repentini. I fianchi della montagna cominciano a gonfiarsi a causa dell’intrusione di magma e cambiano le condizioni elettriche, gravimetriche e magnetiche nell’area.

Gli esperti si confrontano e sviluppano modelli fisico-matematici capaci di simulare al calcolatore, con i dati raccolti in progress, lo scenario futuro nell’area. Si elabora una carta che delinea la cosiddetta “zona rossa” e le altre “zone cromatiche” che indicano minore grado di pericolosità.

I dati man mano raccolti con campagne di misura vengono febbrilmente analizzati. L’attività sismica è caratterizzata da diversi eventi di lungo periodo associati a timidi segnali di tremore armonico che confermano il movimento del magma che, interagendo con le pareti incassanti, risale nel condotto.

Sismicità e tremore armonico al Mount St. Helens, 1980
Sismicità e tremore armonico al Mount St. Helens, 1980

Alcuni giorni più tardi, sulla base dei rilievi, gli studiosi dibattono animatamente sulle probabilità del verificarsi di un’eruzione. Il sistema è complesso e fare una previsione attendibile sull’evoluzione del fenomeno è prematuro. Non si esclude che la crisi possa rientrare.  Un’evacuazione da falso allarme determinerebbe gravi danni economici. Su questo punto bisogna che gli esperti ed i decisori politici siano molto cauti.

Intanto, opuscoli informativi sui fenomeni più pericolosi e su come comportarsi in caso di evacuazione vengono distribuiti alle famiglie residenti.

All’incirca ventiquattrore dopo, i sismografi cominciano a registrare un inequivocabile tremore armonico e i  gravimetri rilevano maggiori anomalie. Sul cratere sommitale si registra una modesta attività freatica da alcune fratture apertesi da qualche ora. Il vulcano ha raggiunto il punto di non ritorno e il sistema accelera. La popolazione deve essere evacuata! E’ ora di diramare l’allerta.

Gli abitanti del villaggio, mentre l’attività freatica si intensifica, vengono evacuati dal territorio. Le autorità, con l’ausilio dei militari, fanno convergere gli sfollati in una zona sicura ad una cinquantina di chilometri dal vulcano utilizzando diversi automezzi ed elicotteri. E’ necessario fare presto con gli elicotteri, perché la presenza di cenere nell’aria potrebbe comportare il blocco dei rotori e il conseguente precipitare del velivolo con il suo carico umano.

Intorno alle dieci del mattino, il villaggio è completamente evacuato. Qualche vulcanologo che si è attardato per gli ultimi rilievi comincia ad allontanarsi dalla montagna.

Stromboli, agosto 2013. (foto E. Cubellis, OV-INGV, per gentile concessione)
Stromboli, agosto 2013. (foto E. Cubellis, OV-INGV, per gentile concessione)

Qualche ora dopo, una scossa di magnitudo 5.2 anticipa un grande fragore durante il quale si innalza  una nube di cenere e gas per diversi chilometri sulla vetta della montagna. La colonna eruttiva per circa tre ore si mantiene sostenuta perché, secondo i vulcanologi, la quantità d’acqua disciolta nel magma è tra il 2 e il 3%. Infatti, una percentuale inferiore (1%) ne avrebbe causato un veloce collasso. Poi,  l’aria comincia ad impregnarsi di cenere che rende difficile la respirazione. La nube vulcanica, raggiunta la massima altezza, si allarga ad ombrello oscurando il sole e facendo precipitare nelle tenebre tutto il territorio. Dalla nube vulcanica comincia la caduta di ceneri e lapilli (fall), mentre i proietti, più pesanti, ricadono in prossimità del cratere e della parte più alta del cono, a volte scivolando verso il basso. Più tardi, sui fianchi del vulcano, per i collassi parziali della colonna eruttiva, scorrono i primi flussi piroclastici, colate incandescenti di prodotti solidi e gas che, scorrendo per gravità sui fianchi del vulcano raggiungono il villaggio, distruggono alberi e uccidono gli animali del bosco. Alcuni flussi, continuando la loro corsa finiscono nel vicino lago producendo l’evaporazione delle acque. Seguono intense precipitazioni che mobilizzano le ceneri depositate sui fianchi del vulcano, generando colate di fango  (lahar) che scorrono verso valle e travolgono quanto incontrano lungo il loro percorso.

Il vulcano cinque ore dopo si acquieta. Il cratere appare ora più ampio e l’altezza della montagna si è ridotta di alcune centinaia di metri. Il lago è prosciugato per l’invasione di flussi piroclastici e il resto del territorio ora giace sepolto sotto un manto di cenere grigia. L’energia sviluppata dall’eruzione è stimata con un Indice di Esplosività Vulcanica (VEI) pari a 5, con 1 Km3 di materiale eruttato (ejecta).

La previsione dei vulcanologi ha avuto successo. 90.000 esseri umani hanno potuto salvarsi dalla furia esplosiva del vulcano.

Questa è una storia di fantasia o, comunque, il risultato atteso se il vulcano ha un buon sistema di monitoraggio, è oggetto di studi intensi da parte della comunità scientifica, esiste un piano di protezione civile aggiornato e la comunità esposta è preparata ad affrontare una crisi vulcanica.

La previsione delle eruzioni vulcaniche è indubbiamente l’obiettivo che i vulcanologi di tutto il mondo si prefiggono con la più alta priorità. Quando un vulcano attivo, ma quiescente, si trova immerso in un mare di umanità, rappresenta un impegno per tutta la comunità scientifica. Il solo pensiero che quella montagna possa risvegliarsi e produrre un’eruzione, non può che determinare il massimo sforzo degli scienziati e dei decisori politici per la mitigazione del rischio.

La previsione a lungo termine che si basa sulla storia eruttiva, non può che fornire la probabilità di accadimento della prossima eruzione con un’attendibilità spesso bassa per la scarsezza dei dati disponibili e per la complessità del fenomeno. In assenza di dinamica, cioè quando un vulcano è nella fase di quiescenza ed è a condotto chiuso, fare delle previsioni sul quando e sul come si verificherà la prossima eruzione è meramente un esercizio scientifico, definito da un modello ipotetico. L’unica certezza è che se il vulcano è attivo, sicuramente darà altre eruzioni in futuro, ma non è dato conoscere, prima dell’inizio dei fenomeni, né quando né come evolverà il sistema.

Mount St. Helens, 1980. Colonna eruttiva.
Mount St. Helens, 1980. Colonna eruttiva.

Capita che i media enfatizzino le simulazioni al calcolatore di scenari eruttivi, con conclusioni affrettate. Le simulazioni al super computer non sono realizzate per prevedere il futuro ma per capire, nel caso si verifichi un certo tipo di eruzione vulcanica, quali saranno gli scenari possibili. Il calcolatore restituirà in output i risultati dell’algoritmo inserito in base ai valori in input delle variabili fisiche e degli altri parametri necessari alla simulazione che, tra gli altri, necessita del modello digitale del terreno (DEM). Questa branca della ricerca si sta dimostrando molto utile nella comprensione del comportamento delle colonne eruttive e dei flussi piroclastici, poi confrontati con la realtà. Con il progredire delle tecnologie hardware e l’ulteriore perfezionamento delle tecniche di modellizzazione fisico-matematiche e informatiche si potranno raggiungere risultati sempre più attendibili per l’approfondimento dei fenomeni.

Gli sforzi della comunità scientifica, dunque, si concentrano sulla previsione a breve termine basata sull’insieme delle variazioni dei parametri associati alla sismicità, con particolare attenzione agli eventi di lungo periodo e al tremore vulcanico,  ai campi elettrici, magnetici e gravimetrici, alla temperatura e alle componenti gassose delle fumarole, alle deformazioni del suolo e ad altri parametri misurabili, tenendo ben presente che i vulcani sono sistemi complessi caratterizzati da processi non lineari e casuali.

Prevedere se avverrà un’eruzione quando cominciano a manifestarsi i fenomeni ritenuti precursori e capaci di essere proiettati nella loro evoluzione è un obiettivo difficile da raggiungere, ma non impossibile. La necessaria esperienza dei vulcanologi, la conoscenza della storia eruttiva del vulcano indagato e l’ausilio di una rete di sorveglianza costituita da strumenti tecnologicamente avanzati, sono le basi per poter comprendere, con elevata probabilità, nell’arco di alcune ore o di qualche giorno d’anticipo, se l’eruzione sarà l’epilogo della crisi.

Naturalmente, all’allarme lanciato dagli scienziati, le popolazioni esposte devono essere munite di adeguati piani di emergenza.

Vulcano Solfatara.  (foto M. Dolce, OV-INGV, per gentile concessione)
Vulcano Solfatara. (foto M. Dolce, OV-INGV, per gentile concessione)

In Italia, il Vesuvio e i Campi Flegrei insistono in aree densamente urbanizzate dove, in totale,  almeno tre milioni di persone svolgono le loro attività quotidiane, producendo ricchezza. Qui, i Comuni che non l’avessero già realizzato, senza ulteriore indugio, devono elaborare l’indispensabile Piano di Protezione Civile.

Un piano di Protezione Civile non è, sic et simpliciter, un piano di evacuazione. La sua stesura richiede multidisciplinarietà e interdisciplinarietà. Diverse sono le competenze da coinvolgere. In tempi di pace, cioè quando non vi sono allerte, il Piano, sempre aggiornato, deve comunque essere svolto attraverso un’informazione chiara e corretta. La redazione e la stampa di opuscoli e volantini, la realizzazione di  esercitazioni, conferenze pubbliche e seminari nelle scuole aiutano le popolazioni a capire i fenomeni e a comportarsi, se chiamate all’emergenza, secondo i criteri più opportuni per la salvaguardia della propria vita e di quella altrui. Gli investimenti nella cultura della sicurezza dovrebbero avere maggiore peso nei bilanci comunali, riducendo magari spese destinate ad attività meno rilevanti rispetto a quelle finalizzate  alla sicurezza della popolazione.

In caso di possibile risveglio del Vesuvio o dei Campi Flegrei, la mancanza di pianificazioni locali, di esercitazioni ben curate, di divulgazione corretta sui comportamenti e sulle possibili fenomenologie, potrebbero produrre danni elevatissimi, anche in termini di vite umane.

Gennaro Di Donna

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