La casa di riposo “Carmine Borrelli” è stata esternalizzata. Il 2 maggio s’insedierà la società di Aversa che si è aggiudicata la gestione dell’ospizio per anziani. Una notizia che ha infervorato non poco gli animi dei 14 dipendenti che da anni prestano servizio presso la struttura. L’ombra di un futuro lavorativo incerto sembra essere alle porte. E la prospettiva preoccupa non poco.
Stamane i lavoratori sono scesi in piazza per manifestare a pochi passi dall’ingresso di Palazzo De Fusco. Uomini e donne alla ricerca di maggiori garanzie a fronte dell’incombente consegna di testimone nella gestione della casa di riposo.
La storia della “Carmine Borrelli” parte da lontano, da una volontà testamentaria precisa: quella della sig.ra Concetta D’Arienzo che, dopo la morte del figlio Carmine Borrelli, volle donare l’immobile al Comune di Pompei .
Il 12 giugno 1928 la benefattrice, con atto notarile, dava inizio alla storia della casa di riposo, trasformando il dolore per la morte dell’unico figlio in atto d’amore per il prossimo.
Le intenzioni della vedova di Vincenzo Borrelli erano precise: la casa avrebbe dovuto accogliere i poveri della città di Pompei.
Nel tempo molte cose sono cambiate da quella volontà testamentaria. La gestione della struttura è stata affidata per diversi anni all’Aspide, società speciale dell’ente comunale che, oltre all’ospizio di via Lepanto, gestiva anche 16 appartamenti siti alla via Scacciapensieri, anch’essi lasciti della sig.ra D’Arienzo.
Fin qui una storia quasi normale. Le cose però si complicano nel momento in cui l’Aspide inizia ad accumulare debiti negli anni, e ciò nonostante gli anziani della casa versino una retta mensile che oscilla fra gli 800-900 euro. Un buco di circa 700 mila euro, denunciato anche alla Corte dei Conti dall’ultimo (in ordine di tempo) amministratore unico dell’ospizio avv. Elio D’Aquino, oggi dimissionario.
Una gestione discutibile che ha portato all’accumulo di bilanci annuali in passivo. A questa situazione l’ente comunale ha risposto con la privatizzazione. Una scelta oramai ufficiale che angoscia i 14 dipendenti, delusi per non essere stati ascoltati a dovere nell’esposizione dei loro problemi.
Dallo scorso febbraio i lavoratori non riscuotono le mensilità. La nuova società privata offrirebbe esclusivamente contratti a tempo determinato, a fronte di una decurtazione di parte dello stipendio. Queste sono le nuove regole, prendere o lasciare. Ma fra la decisione del comune e la privatizzazione compiuta, nel mezzo ci sono 14 dipendenti con famiglie. Ed anche per i 28 anziani dell’ospizio il futuro appare a tinte fosche. Con la nuova società si stima che le rette potrebbero essere aumentate fino ad un tetto massimo di 1.300,00 euro. Chi potrà più permettersi di alloggiare presso la struttura? Questa una delle domande ricorrente fra i lavoratori in protesta.
Rabbia, tanta rabbia. Delusione che si traduce anche nelle parole di Massimo Imparato, responsabile per Cisl Funzione Pubblica Napoli, che chiarisce alcuni passaggi. La privatizzazione non può essere messa in discussione dalle sigle sindacali. Essa è avvenuta per bando pubblico. Ma all’ente comunale potrebbe essere prospettata una soluzione per garantire il pagamento ai dipendenti di alcune delle mensilità arretrate.
L’ancora di salvezza consisterebbe nel convocare il direttore generale di Equitalia per procedere alla rinegoziazione di un debito (50 mila euro) che la “Carmine Borrelli” avrebbe accumulato proprio con la società di riscossione di tributi . Con questa procedura, la cifra dell’importo irrisolto potrebbe essere diminuita. Il restante della somma potrebbe servire a pagare ai lavoratori le mensilità arretrate. Questa appare una delle strade percorribili per garantire una boccata d’ossigeno ai dipendenti in difficoltà. Domani alle ore 13,00 ci sarà un incontro al municipio fra il commissario prefettizio, dott. Aldo Aldi, e le sigle sindacali per valutare questa prospettiva.
Marianna Di Paolo