Del resto, cosa mai si aspettava ‘sta sciocchina? Noi che lasciamo morire Pompei, Ercolano, Oplonti. Noi che costruiamo sugli scavi della passeggiata archeologica, che se hanno così intitolato tale strada, chissà quanta arte e storia possa incorniciare. Noi che, se pensiamo alla Valle dei Mulini, immaginiamo pic nic, terrazzamenti di maria e incontri goliardici e appartati.
Come si è potuto immaginare che Andy Warhol erudisse noi, abbellisse i nostri edifici, colorasse il nostro centro storico coi suoi colori shocking?
Dal 18 aprile, e per un po’ di mesi, al PAN di Napoli è esposto Andy Warhol. Vesuvio, zuppa Campbell, Marylin, copertine dei Velvet Underground e dei Rolling Stones e tanti altri alla vista di tutti. Bellissima la trovata dell’organizzazione, per i primi tre giorni l’ingresso è stato gratuito a tutti, poi si è passati alla modica cifra di 8 €. Davvero poco per un palazzo che ospita l’arte.
Ebbene, potrò raccontare ai miei figli che io c’ero e con tutto il mio entusiasmo. Non per pavoneggiare le mie penne ma, eh sì, sono recentemente stata a scrutare Matisse e Munch, senza ingressi ridotti e/o gratuiti, ed ero assai gasata. L’Albertina e il Kunsthous avvicinerebbero all’arte chiunque.
La fila napoletana era chilometrica già dalla apertura, ovvio che si sia stati affascinati dalla gratuità dell’entrata. E io tra loro. Gente di ogni età, giovani, meno giovani, ragazzi, plotoni scolastici, madri, padri e figli e qualche nonno. Davvero interessante. L’ultima volta che ho visto sì tanto popolo è stato alla Decò, reparto bevande, zona Coca Cola, tutti alla ricerca della lattina ricordante il proprio nome di battesimo. A tal non proposito, che fine ha fatto Catello?
Immaginiamo un napoletano medio, immaginiamo Gennaro Esposito e la moglie Concetta incantati da tanta fila… Perché non profittare dell’ingresso gratuito?
Gennaro e Tina (per le amiche) si fanno la loro fila, uno spintone a destra, una furbata a sinistra e arrivano all’ingresso. Accedono e di fronte a loro una area deputata a guardaroba vuota, non di giubbotti, eh? Ma di grucce. “Signo’, putimme pusa’ ‘o cappotto?”, gentilmente lui. “Il servizio non è attivo”, incalza la signorina.
Arriviamo alla reception, io con loro, dove anche la summenzionata Decò ha volantini, depliant, ricette e altro. Qui nulla. Le tre addette dietrobanchiste ridacchiano tra loro nelle loro divise curiose. Sotto i loro occhi una pila di cartoline ricordanti una mostra fotografica svoltasi esattamente due settimane prima. Gennaro è curioso, vuole conoscere chi sia il biondo che tappezza via dei Mille, perché quel Vesuvio è un po’ rosso e un po’ viola e il “Fate presto!” a chi sia mai stato diretto. Ma nulla, nessun opuscolo, nessuna guida espositiva, nessuna audioguida che possa informare Gennaro e Tina sul perché Andy ami i colori, sul legame che c’è tra il terremoto dell’Irpinia e una prima pagina del mattino esposta alla sua mostra, sul cosa c’entrino i vinili e i pacchi di Brillo e, soprattutto, cosa diamine è Brillo? E non solo Gennaro ha sofferto questa mancanza di informazioni, eh? Avviamoci alla scoperta di Andy senza sapere di Andy, va be’. Al massimo consultiamo Wikipedia, se proprio ci sentiamo ispirati e non distratti dalle decine di steward che barcollano tra le sale e sui due piani del palazzo. Gennaro, con la moglie, si avvicina a tutto ciò che sia esposto. Anche alla presentazione della bellezza dostoevskijana seguita subito dalla versione del De Magistris. Non so se Gennaro si sia chiesto, come me, perché il nostro primo cittadino impieghi fiumi di parole per definire bello il sostanzioso quand’è soggettivo. Una cosa ovvia, insomma.
Inizia l’escursione dei nostri e Tina chiede a Gennaro: “Chi è questo? E quella?”. Impossibile rispondere ché, alla prima vista, pare non ci siano didascalie riportanti almeno il nome del soggetto dipinto. Poi, gli organizzatori hanno, obiettivamente, voluto fare i ganzi e hanno riposto le rispettive etichette ai bordi estremi della parete. Geniale, sì. E qui parte la sagacia della femmina che inizia a osservare pavimenti, infissi, vetri, marmi e sentenzia: “Mado’, che sporcizia!”. Il PAN è sporco; sporco sui muri tinti di bianco, sporchi i marmi del pavimento, sporchi di mancata detersione e di poca cura del materiale, sporchi i vetri. I rari fogli in comune formato A5 sono affissi con nastro adesivo o tocchetti di colla. E le cornici, poi…
Nella migliore delle ipotesi, manca la cornice e troneggia sul bianco sporco la tela colorata, a volte riposta in una teca. Nella mediana delle ipotesi, spuntano le ottime cornici stile Ikea, bordo alto e tozzo, nella sua variante nera. Nella peggiore delle ipotesi, ecco il Vesuvius lambito da egregia cornice in ottone lavorato, intarsiato e invecchiato stile arte povera. Come se incorniciassimo il Tintoretto in stilizzato policarbonato color big babol, per intenderci.
Allora, un po’ delusi, un po’ dispiaciuti, Gennaro, Tina e io ci avviamo allo shop. Almeno una penna del palazzo o della pop art in genere voglio portarla a casa…
Ma nulla. Ogni attività ha una sua penna sponsorizzante che distribuisce pure gratuitamente… tranne il PAN.
Anna Di Nola