Referendum Costituzionale del 4 dicembre

“Non sono un cultore o un docente di Diritto Costituzionale, ma semplicemente un Cittadino italiano che è cresciuto, si è formato ed ha svolto attività politico-amministrativa in un’epoca storica nella quale nessuno ha mai messo in discussione la Costituzione. Mi riferisco agli ultimi 20 anni del secolo scorso (dal 1980 al 2000), periodo nel quale la corruzione e la concussione decretarono la fine della Prima Repubblica non per l’inadeguatezza dei principi e delle regole della Costituzione, ma bensì per l’elevata percentuale di politici disonesti ed incapaci che occupavano cariche pubbliche.

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Così cominciò a farsi strada nel dibattito politico la chimera delle “riforme”, facendo credere a tutti che il male era il “sistema”, che costringeva coloro i quali operavano in politica a rendere “eccessivamente burocratici” gli iter decisionali all’interno della pubblica amministrazione a tutti i livelli, dallo stato centrale a quello delle autonomie locali (regioni e comuni). In questo modo si è trasferita fuori della sfera personale la moralizzazione della politica, con l’effetto che le persone oneste che operavano nella politica sono state nel corso del tempo “epurate”, addirittura a volte “cacciate” dalle Istituzioni. Con la nuova legge elettorale, che ha abolito le preferenze, si è definitivamente scoraggiata o preclusa la possibilità di accesso ad esse da parte di cittadini onesti e che vogliono vivere la politica come servizio.

Ecco perché sono tra quelle persone che sono convinte che la nostra Costituzionale non ha niente che non va e che la nostra Italia per funzionare non ha bisogno di cambiarla, ma occorrono persone oneste che la applichino a tutti i livelli: dallo Stato centrale, alle Regioni, ai Comuni se si vuole parlare della politica e delle amministrazioni pubbliche; dalla Magistratura alle Forze dell’Ordine se si parla della Giustizia, delle Istituzioni sanitarie a quelle scolastiche se si vuole parlare dei servizi fondamentali per i cittadini.

Proprio perché manca l’onestà, questa volta intellettuale e democratica, anche in occasione di questo Referendum vi è la piena rappresentazione della mancata attuazione della nostra Costituzione, malgrado le citazioni utilizzate fuori contesto da molti sostenitori della riforma.

Vorrei ricordare a me e a tutti voi che Piero Calamandrei scriveva nel 1947: “Quando l’Assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti; parimenti estraneo deve rimanere il governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana”. Più recentemente, a pochi anni dalla morte, Giuseppe Dossetti, prestigioso protagonista del processo costituente, commentando le iniziative di riforma costituzionale nella prima metà degli anni Novanta, scriveva: “Si tratta di impedire a una maggioranza, che non ha ricevuto alcun mandato al riguardo, di mutare la Costituzione: si arrogherebbe un compito che solo una nuova Assemblea Costituente, programmaticamente eletta per questo e a sistema proporzionale, potrebbe assolvere come veramente rappresentativa di tutto il nostro popolo. Altrimenti sarebbe un autentico colpo di Stato”.

Ma, al di là del ruolo del Governo nel processo di riforma costituzionale, va ricordata la ratio dell’art. 138 nella parte in cui prevede il referendum costituzionale. Lo strumento del referendum è stato voluto dai Costituenti come strumento per le minoranze che non hanno condiviso i progetti di revisione costituzionale.

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In questa occasione la forte caratterizzazione politica, pro o contro il Governo, tradisce lo spirito della Costituzione. Lo tradisce l’idea, alimentata costantemente, che il ricorso al referendum è stato “concesso” al popolo dallo stesso Governo “costituente”, per dimostrare il comune sentire dei cittadini con le scelte riformatrici. Lo tradisce l’atteggiamento, almeno iniziale, della campagna referendaria, che lega all’esito della stessa la sorte del Governo e della stessa legislatura o il destino politico e personale dei principali protagonisti della riforma, a cui hanno dato il nome.

Le vere questioni quali sono allora?

  1. Si può ridurre il numero dei parlamentari non andando a toccare il bicameralismo, ma abbassando il numero dei componenti la Camera dei Deputati
  2. Si può aumentare la Governabilità modificando in maniera non di parte la Legge Elettorale, reintroducendo il voto di preferenza in maniera tale che le lobby economiche e le caste (in assenza dei partiti popolari di una volta) non impongano listini di persone “marionette”, le quali successivamente legano i loro fili ad altri gruppi, tradendo il mandato degli elettori
  3. Si possono ridurre i costi della politica semplicemente agendo sulle indennità e sui privilegi dei parlamentari, dei Consiglieri Regionali, degli Amministratori comunali, nonché sugli stipendi dei manager pubblici
  4. Si devono far funzionare, prima di dire che non sono idonei, le attribuzioni delle competenze tra Stato e Regioni: oggi, ad esempio, non si utilizzano pienamente i Fondi Europei da parte delle Regioni, in modo particolare al Sud, non perché non esistano o siano sbagliati i regolamenti, ma perché siamo amministrati da una classe di politici e di pubblici dipendenti non capaci di programmare e progettare.

Ecco perché al Referendum Costituzionale di domenica prossima 4 dicembre IO VOTO NO ed invito a VOTARE NO tutti gli elettori che vogliono che nel nostro Paese si affermi un nuovo modo di fare politica.”   

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