Era la mattina del 7 luglio del 2017, il risveglio dell’intera area vesuviana fu trafitto dalla notizia di un crollo, una palazzina. In redazione cominciarono ad arrivare notizie sempre più precise e in breve tempo tutto quanto era accaduto prese le sembianze di quello che era: una tragedia. Annunciata? Forse sì.
I turni di collaboratori e colleghi disseminati lungo Rampa Nunziante a Torre Annunziata furono estenuanti, per un paio di giorni si sperò che il bilancio delle vittime non si aggravasse. Sul luogo del crollo arrivarono subito in tanti, che scavarono con le mani e la disperazione, poi Vigili del Fuoco, Protezione Civile e non solo. Ma la tragedia si era già consumata. Non ci fu nulla da fare per le otto vite, due bambini, che erano nei piani alti della palazzina al momento del cedimento. Otto vite stroncate in pochi secondi, una città incredula assisteva impotente. Le vittime furono recuperate e piante, piante da tutta Torre Annunziata. Le cause? Si, anche quelle sembrano essere state individuate. I colpevoli? No, quelli, ad oggi, non sono stati ancora individuati definitivamente. Da noi capita così. Purtroppo.
Oggi però si è giunti ad un punto nodale del processo agli imputati, a vario titolo, per quella immane tragedia, quei lavori al secondo piano dei quali, in un modo o nell’altro, tutti sono ritenuti responsabili. Quei lavori che provocarono il crollo del “Palazzo su Rampa Nunziante”. Per loro pene durissime quelle richieste dal pm Andreana Ambrosino al giudice Francesco Todisco.
Per sei imputati l’accusa è di crollo e omicidio colposo plurimo. La richiesta più gravosa è stata quella per Massimiliano Bonzani che la procura di Torre Annunziata ritiene essere il direttore ufficiale dei lavori al primo piano ma anche una sorta di “direttore occulto” degli interventi al secondo piano, proprio quelli che avrebbero minato la stabilità della palazzina. Per lui sono stati chiesti 14 anni di reclusione, nonché, per cinque anni, l’interdizione dai pubblici uffici e dall’attività professionale.
Un anno di reclusione in meno, per l’altro imputato ritenuto tra i massimi responsabili del crollo e della morte degli otto innocenti, Aniello Manzo. Il professionista sarebbe stato individuato come il braccio destro di Bonzani. Anch’egli avrebbe seguito i lavori sia del primo che del secondo piano. Per lui, appunto 13 anni di reclusione, e lo stesso periodo di interdizione, la richiesta del sostituto procuratore.
Richiesta detentiva pesante anche per Gerardo Velotto, in quanto committente dei lavori a quello che sarebbe divenuto il suo appartamento, al secondo piano. Per il pm, Velotto è pienamente responsabile sia della commissione dei lavori che delle condotte di mancato rispetto della sicurezza nell’esecuzione degli stessi.
Con Velotto, sotto accusa anche Pasquale Cosenza, colui che stava eseguendo materialmente quei lavori al secondo piano. Per Ambrosino, lavori effettuati in spregio a tutte le norme di sicurezza vigenti che mettevano a rischio l’incolumità dei condomini e che portarono alla tragedia del 7 luglio del 17. Per entrambi richiesto il carcere per 11 anni e 6mesi e cinquemila euro di multa.
Nove anni e otto mesi invece richiesti per Massimo Lafranco e Roberto Cuomo, entrambi avvocati ed entrambi coinvolti nella vicenda per differenti motivi.
Lafranco sarebbe il proprietario di fatto dell’appartamento al secondo piano, mentre Cuomo era l’amministratore del condominio. Per l’accusa entrambi erano pienamente a conoscenza di quanto stesse accadendo nel palazzo, dei lavori, delle irregolarità e dei rischi che si stava correndo.
Ad aggravare la loro posizione agli occhi del magistrato sarebbe il fatto che essendo avvocati all’interno dello stesso studio, erano perfettamente in grado di discernere le irregolarità e le infrazioni fatte per effettuare i lavori.
Nella vicenda coinvolte, con altri otto imputati, accusati di alcuni falsi e abusi edilizi, anche le due mogli, Rosaria Vitiello e Ilaria Bonifacio. Entrambe rispondono solo di false attestazioni e nonostante il loro ruolo venga considerato di secondo piano rispetto a quello dei mariti, sono comunque stati chiesti un anno e quattro mesi, riconoscendo loro le circostanze attenuanti.
Infine, per le false attestazioni e i reati edilizi, richieste ancora condanne per gli altri otto imputati.
Per Rita e Giuseppe Bongiovanni e Roberta Amodio sono stati invocati un anno e quattro mesi di reclusione, mentre per Donatella Bongiovanni, solo un anno. Per essi, storici proprietari dello stabile, l’accusa di false attestazioni relative ai contratti preliminari e definitivi del palazzo, che doveva essere considerato abusivo.
Per quanto riguarda, invece, ulteriori reati edilizi connessi al crollo sono stati chiesti un anno e quattro mesi d’arresto e 36mila euro di ammenda a carico di Marco Chiocchietti e un anno e 31mila euro di ammenda ai danni di Mario Cirillo.
Chiesta l’assoluzione per Emilio Cirillo, fratello di Mario e Luisa Scarfato, moglie di Chiocchetti, oltre che per alcuni reati anche per Roberto Cuomo.
Ora la palla passa alle difese che dovranno provare a smontare il castello accusatorio eretto costruito nel corso del processo dal pubblico ministero.
Filippo Raiola