“La pittura serve a evocare quello che consideriamo più importante, e cioè il mistero del mondo”.
Le parole di René Magritte, protagonista di un documentario che racconta il percorso umano e artistico di uno dei protagonisti più significativi dell’arte del Novecento (trasmesso da Rai 5 lo scorso 29 gennaio e disponibile su Rai Play), condensano il pensiero di un uomo che ha cambiato il modo di concepire la pittura, creando opere che vanno oltre l’immagine, nelle quali i dettagli più ovvi della realtà ribaltano in modo originale il senso delle cose, stimolando la riflessione di chi le guarda.
Pur non amando essere etichettato come pittore o artista, la pittura ha avuto un ruolo importante nella vita di questo “disturbatore silenzioso”, come si definiva, confermando la sua natura di introverso, solitario e malinconico, ma, al tempo stesso, amante degli scherzi e della compagnia degli amici.
Una contraddizione vivente, Magritte: un borghese nato a fine Ottocento in una tranquilla cittadina del Belgio, ordinario nella vita ma prolifico nella produzione di quadri; un pittore associato al Surrealismo, ma insofferente all’autoritarismo del suo fondatore, André Breton; un artista che sembra aver lavorato per restare anonimo, tenendosi a debita distanza dal successo delle sue opere, ma capace di sovvertire le convenzioni sociali e artistiche del suo tempo, creando uno stile unico e inconfondibile.
Uno stile caratterizzato da un occhio quasi fotografico sulla realtà, con un’ambiguità che porta chi guarda le sue opere a chiedersi che cosa ci sia al di là dei soggetti rappresentati. È il caso, ad esempio, del quadro “Le fils de l’homme”, dove il volto di un uomo in bombetta è coperto da una mela verde, o del dipinto “Gli Amanti”, dove un lenzuolo nasconde il bacio tra un uomo e una donna.
Il visibile viene messo in discussione, e i dipinti di Magritte invitano a guardare oltre l’apparenza degli oggetti comuni, alla ricerca dei loro significati nascosti. Un altro esempio emblematico del suo approccio è “La trahison des images”, con la celebre frase “Ceci n’est pas une pipe”, che evidenzia come l’immagine (quella di una pipa, appunto) non sia l’oggetto concreto rappresentato, ma solo la sua riproduzione.
La pittura è, per Magritte, intesa come strumento, e lui può servirsene perché sa dominarla con maestria. I suoi soggetti sono spesso simili, ma l’idea di assemblarli con ciò che lo circonda lo porta a creare un nuovo linguaggio. L’arte di dipingere acquista interesse solo per l’idea che evoca, così come i titoli dei dipinti, che, attraverso giochi di parole, creano una gamma infinità di possibilità. Erano i suoi amici – un clan ristretto di surrealisti belgi che si riunivano attorno a lui e alla moglie e musa Georgette, e da cui Magritte aveva una dipendenza totale, a dispetto del suo restare un uomo solitario – a cercare e trovare quei titoli, prestandosi volentieri a un gioco che, per quanto ludico, era serio.
Le opere dell’artista belga, esposte in tutto il mondo, non finiscono di incuriosire e di sorprendere, e la sua vita dedicata all’arte, che unisce realtà e finzione, mistero e verità, ha lasciato un’impronta indelebile nel panorama artistico contemporaneo.
Viviana Rossi