Un lungo applauso ha accolto il feretro di Martina Carbonaro, la 14enne uccisa dal suo ex fidanzato, all’ingresso della basilica di Sant’Antonio, ad Afragola. “Martina sei la figlia di tutti noi”, hanno urlato alcune donne, mentre altre persone hanno inveito contro Alessio Tucci, l’ex fidanzato della ragazza, che da mercoledì è rinchiuso in carcere. Alla cerimonia erano presenti anche il sottosegretario Pina Castiello e il prefetto di Napoli, Michele di Bari. Ad accogliere la bara bianca è stato il sindaco di Afragola, Antonio Pannone. E mentre il feretro varcava la porta della chiesa, in tanti hanno urlato: “Giustizia, giustizia”.
Il feretro ha poi lasciato la basilica tra gli applausi dei presenti. I palloncini bianchi e rosa, legati in una catena come fossero i grani di un rosario, sono stati lasciati volare in cielo, ma si sono incastrati sulla croce posta sul tetto della chiesa. I familiari e gli amici di Martina hanno indossato magliette con una sua foto, in un commovente omaggio alla giovane vittima di femminicidio.
Durante l’omelia, l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Domenico Battaglia, ha rivolto parole forti e accorate: “Oggi, accanto al dolore, io sento il dovere di dire: basta. Basta parole deboli. Basta giustificazioni”. E ancora: “Martina è morta per mano della violenza. È morta per mano di un ragazzo che non ha saputo reggere un rifiuto, un limite, una libertà, togliendo il futuro non solo a Martina ma anche a se stesso! Martina è morta per un’idea malata dell’amore. Un’idea ancora troppo diffusa, troppo tollerata, troppo silenziosa”.
Il cardinale ha poi voluto rivolgersi direttamente ai giovani: “E permettetemi di dire una parola, soprattutto ai ragazzi, di dire la mia preoccupazione soprattutto per quelli che non sanno più gestire la rabbia, che confondono il controllo con l’affetto, che pensano ancora che amare significhi possedere. Che vedono la donna come qualcosa da ottenere, da tenere, da non perdere mai. Che se vengono lasciati si sentono umiliati, feriti, e trasformano il dolore in odio. Un odio che uccide”.
Un’omelia che si è fatta denuncia: “È femminicidio. Chiamiamolo con il suo nome. Non è follia. Non è gelosia. Non è un raptus. È il frutto amaro di un’educazione che ha fallito. Di un linguaggio che normalizza la violenza. Di un silenzio colpevole!”, ha concluso con forza il cardinale Battaglia.
Sarah Riera