Otto anni di reclusione per aver strappato la vita a una ragazza di appena 27 anni. È questa la pena confermata dalla Corte d’Appello di Napoli nei confronti di Antonio Riccio, il giovane di 25 anni che la notte del 5 maggio 2024 investì e uccise Rita Granata in via Leopardi, a Fuorigrotta, mentre attraversava la strada a pochi passi da casa. La Corte ha ribadito il verdetto di primo grado, respingendo le richieste della difesa e accogliendo le istanze della famiglia della vittima, rappresentata dall’avvocato Diego Del Regno.

Dopo tre giorni di agonia, Rita Granata non ce l’ha fatta, troppo gravi le ferite

Una tragedia ancora viva nel cuore della famiglia Granata

L’udienza si è svolta nell’aula 315 del Palazzo di Giustizia di Napoli, al Centro Direzionale, ed è cominciata intorno alle 11. In quell’aula gremita, i genitori di Rita, Maria Ceccucci e Luigi Granata, insieme al figlio Luca, hanno affrontato l’ennesimo momento di dolore composto, stringendosi in silenzio fino alla lettura della sentenza, avvenuta nel tardo pomeriggio.

Quando i giudici hanno confermato la condanna, le emozioni hanno travolto la madre di Rita, che ha rotto il silenzio in un grido disperato: “Chi ha tolto la vita a mia figlia, ci ha condannato all’ergastolo”. Parole cariche di sofferenza, pronunciate al termine dell’arringa difensiva dell’avvocata Antonella Regine, che difende l’imputato.

L’investimento e la fuga: Rita morì dopo tre giorni di coma

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la notte dell’investimento Riccio guidava sotto l’effetto di alcol e cannabis e a velocità elevata. Alle 4.15 del mattino del 5 maggio, Rita era appena scesa da un taxi e stava attraversando la strada, sulle strisce pedonali, quando fu travolta dall’auto condotta dal 25enne. Il giovane non si fermò a soccorrerla, ma tornò sul posto solo alcune ore dopo.

Rita fu trasportata d’urgenza in ospedale e restò in coma per tre giorni, prima di morire. Aveva solo 27 anni.

Il dolore dei familiari e la richiesta di giustizia

All’uscita dall’aula, i familiari di Rita hanno dichiarato di provare “un po’ di sollievo, perché giustizia è stata fatta”. Maria Ceccucci, sostenuta anche dallo zio di Rita, Diego Granata, e dalla moglie Rosy, ha sottolineato: “Non abbiamo mai voluto vendetta, ma semplicemente giustizia”.

In una lettera scritta dalla madre dopo la sentenza, si legge: “Dopo giorni di silenzio e di rabbia, arriva un piccolo segno di giustizia. Finalmente si è cominciato a chiamare le cose con il loro nome: non è stato un incidente ma un atto gravissimo di irresponsabilità e disumanità. E qualcuno, oggi, lo ha riconosciuto”.

Nel testo, Maria descrive anche l’investimento come “un’aggressione sull’asfalto da parte di un uomo sotto effetto di droga e alcol, che correva a folle velocità, lasciandola agonizzante“.

Il tentativo della difesa e le motivazioni della Corte

Nel corso del procedimento, la difesa di Riccio aveva proposto un accordo per una pena di quattro anni e otto mesi, che è stato respinto. L’avvocata Regine ha provato a ridimensionare la gravità dell’accaduto, parlando di un reato colposo commesso da un incensurato che ha chiesto scusa.

“Da un punto di vista umano, riesco a compenetrarmi nel dolore della madre”, ha dichiarato in aula la penalista, precisando: “È vero che si è allontanato, ma è tornato dopo un’ora. È risultato positivo ma in bassa percentuale. Tenere in carcere un incensurato per un reato colposo non avrebbe senso. E comunque, per la perdita di una giovane vita, neanche l’ergastolo sarebbe una pena sufficiente”.

Ma la Corte ha ritenuto pienamente fondata la responsabilità dell’imputato, accogliendo la ricostruzione del legale della famiglia Granata, l’avvocato Del Regno, che ha posto l’accento su tre elementi determinanti:

  • assenza di segni di frenata o manovre di emergenza da parte dell’auto condotta da Riccio;
  • grado alcolemico elevato, classificato tra i più alti dalla norma;
  • uso di cannabis, accertato nel test tossicologico.

Nessuna scusa formale in un anno di attesa

Un altro aspetto che ha profondamente segnato la famiglia riguarda la mancanza di un vero pentimento. Maria, Luigi e Luca non considerano sincere le dichiarazioni rese da Riccio alla prima udienza, in cui si disse “dispiaciuto per l’accaduto”.

“Da un anno fino a oggi non sono mai state fatte a noi familiari delle scuse, né verbalmente, né per iscritto”, ha ribadito la madre di Rita. Per loro, quelle parole non sono mai state sentite come un’assunzione di responsabilità autentica.

Una sentenza che dà un nome al dolore

Alla fine, la sentenza d’Appello ha confermato la qualificazione giuridica di omicidio stradale aggravato, riconoscendo in pieno le responsabilità di Antonio Riccio. Otto anni di reclusione, al momento da scontare ai domiciliari, per una tragedia che ha sconvolto un’intera famiglia.

Nel cuore dei genitori e del fratello di Rita resta un vuoto incolmabile, ma anche la certezza che la giustizia abbia riconosciuto la gravità di quanto accaduto, rifiutando ogni tentativo di ridurre la pena. E nel silenzio che ha seguito la lettura della sentenza, è risuonato forte il messaggio di una madre: “Non è stato un incidente. È stata disumanità”.

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