L’alba di ieri ha segnato un momento cruciale nella lotta alla criminalità organizzata a Torre Annunziata. Diciassette arresti, eseguiti su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, hanno portato in carcere una parte importante della gerarchia e della rete operativa del clan Gionta, storica famiglia camorristica di Torre Annunziata. Tra i nomi di spicco finiti in manette c’è quello di Gemma Donnarumma, conosciuta da tutti come Donna Gemma, moglie del boss Valentino Gionta e figura emblematica della continuità del clan anche dopo lunghe detenzioni. Risultano al momento irreperibili ancora due dei destinatari delle ordinanze restrittive: Pasquale “’o turc” Romito e Carmine Mariano Savino.
Donna Gemma, la reggente silenziosa e temuta
L’arresto di Donna Gemma non è stato un colpo qualsiasi, ma un segnale forte per il sodalizio e per la sua capacità di comando, nonostante la sua condizione di sorvegliata speciale. Uscita dal carcere nel 2022 dopo una lunga pena per associazione mafiosa e reati aggravati dal metodo camorristico, Gemma Donnarumma ha subito ripreso le redini del clan. Nonostante la misura di prevenzione della libertà vigilata, la donna ha mostrato come il potere del clan si fondi soprattutto sulla forza del legame familiare e sulla continuità del controllo interno.
Secondo quanto emerso dall’inchiesta, Donna Gemma ha diretto personalmente diverse estorsioni ai danni di imprenditori locali, imponendo anche assunzioni forzate di parenti degli affiliati detenuti. La sua azione non si limitava al semplice ruolo esecutivo: era la vera mente strategica del clan, colei che decideva ruoli, gestiva i rapporti con i clan alleati o rivali, e garantiva il sostegno economico agli affiliati incarcerati e alle loro famiglie.
In una delle contestazioni più emblematiche, Donna Gemma avrebbe obbligato un imprenditore a ingaggiare il nipote Luigi Di Martino, mentre in un’altra occasione impose l’assunzione del figlio di un affiliato, curando dettagli come il salario, gli orari di lavoro e le “regalie” richieste.
L’assetto riorganizzato: tra vecchie leve e nuove generazioni
L’operazione ha colpito anche altri esponenti chiave della nuova struttura del clan, che si è riorganizzata con la scarcerazione di figure di spicco come Gemma e con l’emergere di una nuova leadership. Tra questi spicca il nome di Gaetano Amoruso, detto ‘a vecchiarella, figlio del noto killer Francesco e genero di Aldo Gionta, figlio del boss Valentino. Amoruso è considerato il reggente del clan dal novembre 2021 fino all’uscita dal carcere di Gemma Donnarumma.
Le indagini hanno ricostruito come Amoruso abbia avuto un ruolo centrale nella riorganizzazione del sodalizio, occupandosi di stabilire strategie criminali, gestire il traffico di stupefacenti e mantenere rapporti con alleati storici come i Gallo-Cavalieri. Inoltre, la spartizione dei proventi illeciti tra detenuti e affiliati liberi era regolata in stretta collaborazione con Donna Gemma, dimostrando come il controllo economico e la gestione interna del clan fossero ancora saldamente nelle mani della famiglia Gionta.
Una rete ramificata e violenta
L’inchiesta ha inoltre portato alla luce una fitta rete di complici e affiliati, molti dei quali legati da vincoli di sangue o matrimoni combinati, che costituiscono l’ossatura operativa del clan. Tra gli arrestati figura Pasquale Romito, soprannominato ‘o turc, irreperibile al momento, ma indicato dagli investigatori come uno degli organizzatori della rete operativa durante i momenti di vuoto di potere. Romito avrebbe mantenuto legami stretti con altri clan e risulta coinvolto in traffico di droga e detenzione di armi da guerra.
Tra gli esattori e organizzatori delle estorsioni spicca Amedeo Rosario Mas, detto ‘o castellone, che ha svolto un ruolo fondamentale nella riscossione del pizzo a commercianti e imprenditori locali. Con Donna Gemma è accusato di aver estorto 5.000 euro a un imprenditore ancora non identificato. Al suo fianco si muoveva una serie di fedelissimi come Raimondo Bonfini, indicato come esecutore materiale delle estorsioni, e Giancarlo De Angelis, cognato di Alfredo Savino e legato ai vertici familiari.
Una famiglia camorristica a tutto tondo
I nomi che compaiono nell’ordinanza mostrano come il clan sia una vera e propria famiglia camorristica che ha saputo coniugare la fedeltà di sangue con la capacità di riorganizzarsi dopo i colpi delle forze dell’ordine. Tra i personaggi più influenti arrestati c’è Enrico Donnarumma, detto Enricuccio, fratello di Gemma, che insieme a lei ha contribuito a mantenere saldo il controllo del territorio.
Tra i veterani figura anche Salvatore Palumbo, noto come maccato, storico esponente della cosca, mentre altri come Salvatore Ferraro, detto ‘o capitan, e Michele Guarro, soprannominato battilemanine, sono stati identificati come figure operative di peso, già emerse in precedenti indagini.
Tra gli affiliati emergenti c’è Mariano La Rocca, attivo sia nelle estorsioni sia nel traffico di sostanze stupefacenti, mentre Michele Mas, figlio di ‘o castellone, è stato sottoposto a misura cautelare meno restrittiva, con arresti domiciliari e braccialetto elettronico, per la sua partecipazione all’imposizione di assunzioni fittizie nelle aziende del territorio.
I legami di sangue e la rete di potere
Il nucleo famigliare si completa con la presenza di Alfredo, Massimo e Carmine Mariano Savino, figli e fratelli di Felice Savino, detto peracotta, cognato di Gemma Donnarumma. Tutti coinvolti in estorsioni aggravate da modalità mafiose, essi incarnano la continuità storica del clan, così come Fabiano Tammaro, detto Fabio, cognato di De Angelis, e Raffaele Uliano, pasturiello, cugino di Gemma, che si occupava di supporto logistico e operativo.
L’ordinanza, lunga più di 250 pagine, è un documento che fotografa con precisione il funzionamento interno del clan, sottolineando la sua natura di associazione mafiosa, la recidiva di molti affiliati e il sistema di vincoli di sangue che continua a garantire coesione e forza nel territorio.
Un colpo duro, ma non definitivo
L’operazione, coordinata dalla Dda di Napoli e condotta dai carabinieri di Torre Annunziata, ha fatto leva su una complessa rete di intercettazioni telefoniche e ambientali, videoriprese e pedinamenti, supportata da testimonianze di collaboratori di giustizia. Il risultato è stato un colpo pesante inferto a uno dei clan più radicati e temuti della camorra vesuviana, che per anni ha controllato estorsioni, traffico di droga e assunzioni forzate nel tessuto produttivo locale.
Tuttavia, come spesso accade nel mondo della criminalità organizzata, la forza del legame familiare e la capacità di riorganizzazione rappresentano un elemento di resilienza difficile da sradicare. La camorra dei Gionta parla con la forza del sangue, e questa operazione non sarà probabilmente l’ultima battaglia in un conflitto che continua da decenni.
Ivan di Napoli