Il gup di Napoli ha condannato Salvatore D’Acunzo a otto anni di reclusione per tentato omicidio, tentata strage e detenzione di armi, aggravati dal metodo mafioso. La Direzione Distrettuale Antimafia aveva chiesto una pena ben più severa, pari a 18 anni, ma la decisione del giudice ha fermato il verdetto a otto, alimentando il dibattito sulla proporzione tra la gravità dei fatti e la sanzione inflitta. A difendere D’Acunzo è stato l’avvocato Antonio Iorio del Foro di Torre Annunziata.

Il pomeriggio di terrore al Lido Azzurro

Il 19 luglio 2024, un diverbio sorto all’esterno del Lido Azzurro si trasformò in un agguato armato. Due giovani, con il volto coperto e le armi in pugno, fecero irruzione nello stabilimento balneare affollato di famiglie. Tre colpi di pistola riecheggiarono tra gli ombrelloni, vicino al bar del Lido, mentre i bagnanti si riversavano in fuga disperata verso Rampa Nunziante. Nessuno fu colpito, ma il caos e le urla consegnarono a Torre Annunziata una delle pagine più oscure della sua cronaca recente. Per gli inquirenti non si trattò di un gesto impulsivo: fu un raid dimostrativo, una spedizione punitiva con l’obiettivo di dare una lezione.

Il coinvolgimento del clan Gionta

Con D’Acunzo c’era un minorenne, parente stretto dei vertici del clan Gionta, già condannato in un procedimento separato a 5 anni di reclusione, con l’esclusione del reato di tentata strage. Secondo gli inquirenti, la partecipazione del ragazzo legato allo storico sodalizio criminale oplontino confermava la matrice mafiosa del raid. Quella sera, infatti, il bersaglio designato riuscì a salvarsi, evitando una possibile strage.

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Le indagini e gli arresti

Le indagini di Carabinieri e Polizia di Stato partirono da due indizi rivelatori: la targa di uno scooter e una scarpa. Il ciclomotore, camuffato malamente, fu ricondotto a D’Acunzo. Le telecamere di sorveglianza ripresero i due giovani mentre tentavano di disfarsi degli abiti usati per l’assalto in una zona ritenuta “cieca”, ma ancora con caschi e scarpe riconoscibili. Lo stesso scooter ricompariva nei filmati, incastrando definitivamente i responsabili. D’Acunzo fu arrestato in meno di una settimana, mentre il complice minorenne cadde in manette nel novembre successivo.

Una ferita ancora aperta

La sentenza di primo grado segna un passaggio decisivo ma non definitivo, perché la vicenda giudiziaria proseguirà nei successivi gradi di giudizio. A Torre Annunziata resta viva la memoria di quel pomeriggio d’estate in cui la violenza criminale sconvolse la quotidianità di famiglie e bambini in spiaggia, dimostrando ancora una volta la brutalità delle dinamiche legate al controllo del territorio.

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