Camorra e calcio, la Juve Stabia commissariata: il clan D’Alessandro gestiva biglietti, sicurezza e persino il vivaio

Dalle indagini della Direzione nazionale antimafia emerge un controllo capillare del clan D’Alessandro sui servizi esterni della Juve Stabia. Infiltrazioni in biglietteria, steward, ambulanze e settore giovanile. Il club finisce sotto amministrazione giudiziaria per dodici mesi

Il calcio a Castellammare di Stabia finisce nel mirino della giustizia. L’inchiesta che scuote la città ha rivelato un sistema di infiltrazione mafiosa nella gestione della Juve Stabia, con la presenza del clan D’Alessandro in ogni ambito: dai biglietti agli steward, fino al vivaio giovanile. Un controllo capillare e silenzioso che ha convinto il Tribunale delle Misure di Prevenzione di Napoli a disporre l’amministrazione giudiziaria del club per dodici mesi, avviando quella che gli inquirenti definiscono una bonifica anticlan.

L’amministrazione giudiziaria e le indagini antimafia

La misura, firmata dal presidente Teresa Areniello con i giudici Luciano Di Transo e Mariarosaria Orditura, è stata richiesta dalla Direzione nazionale antimafia e coordinata dai magistrati Antonello Ardituro e Liana Esposito, insieme ai colleghi della Procura di Napoli Giuseppe Cimmarotta e Sergio Ferrigno.

L’indagine nasce nel febbraio 2025, dopo un controllo allo stadio Romeo Menti. È in quella sede che emerge il nome di Giovanni Imparato, ritenuto vicino a un clan vesuviano e formalmente responsabile della sicurezza dell’impianto. Un ruolo strategico, in un settore dove, secondo gli investigatori, operavano decine di soggetti “daspati”, già noti per rapporti con la criminalità organizzata o per episodi di violenza sportiva.

Le indagini, condotte dalla Polizia sotto la guida del primo dirigente Nunzia Brancati, hanno messo in luce una rete di società collegate ai clan, attive nella vendita dei ticket, nella gestione degli steward e nei servizi sanitari con ambulanze riconducibili ad ambienti camorristici. L’intera operazione è stata seguita personalmente dal questore Maurizio Agricola e dal prefetto Michele Di Bari, a conferma della delicatezza del caso.

Le parole di Gratteri e Melillo

Durante la conferenza stampa, il procuratore di Napoli Nicola Gratteri ha spiegato la logica criminale che si cela dietro le infiltrazioni nel calcio: «Le mafie sono presenti dove ci sono soldi, potere e consenso. Il calcio è anche uno strumento di consenso, e qui è diventato una grande vetrina, nel silenzio assordante delle istituzioni». Un messaggio netto, che ribadisce come il calcio, soprattutto nelle realtà locali, possa trasformarsi in strumento di potere sociale.

Il procuratore nazionale antimafia Gianni Melillo ha aggiunto: «Questo è il terzo caso di amministrazione giudiziaria per una società professionistica dopo Foggia e Crotone. Si tratta di uno strumento per spossessare le amministrazioni condizionate dalla criminalità».
Melillo ha poi allargato il campo della riflessione, collegando il fenomeno a un contesto più ampio di degrado sociale e culturale: «Il quadro che emerge è allarmante e non riguarda solo il calcio. Razzismo, antisemitismo e suprematismo sono costanti del tifo violento, lo stesso clima in cui maturano tragedie come quella di Rieti».

Camorra in tribuna e sul palco

Il controllo dei clan non si limitava agli spalti dello stadio, ma si estendeva persino agli eventi pubblici e alle celebrazioni istituzionali.

Il 29 maggio 2024, durante una festa organizzata dal Comune di Castellammare di Stabia, alcuni soggetti ritenuti vicini alla camorra – tra cui Michele Lucarelli e Raffaele Di Somma – sarebbero saliti sul palco accanto al sindaco Luigi Vicinanza per premiare un calciatore.

L’episodio, immortalato da immagini poi diffuse sui social, ha scatenato forti polemiche politiche e giornalistiche, costringendo il primo cittadino a prendere pubblicamente le distanze. Il parlamentare europeo Sandro Ruotolo ha chiesto chiarimenti sull’accaduto, mentre la Procura ha sottolineato che la presenza dei clan allo stadio “Menti” era un fatto abituale, segno di una penetrazione sociale e visibile della criminalità nel tessuto cittadino.

Vivaio sotto controllo e pressioni sui giovani

L’infiltrazione, secondo gli investigatori, raggiungeva anche il settore giovanile.
Il collaboratore di giustizia Pasquale Rapicano ha dichiarato che Roberto Amodio, direttore del vivaio, sarebbe stato “uomo di fiducia dei D’Alessandro”: «Fa quello che dicono i D’Alessandro, sta lì perché imposto dalla camorra».

Ma il dato più inquietante emerge dalle intercettazioni: un boss detenuto al 41 bis avrebbe impartito ordini dal carcere, imponendo che un ragazzo del vivaio giocasse da titolare: «Vai da Di Maio e digli che il ragazzino deve giocare perché tu sei mio figlio». Una dinamica che rivela un controllo psicologico e ambientale sui giovani calciatori, esposti a un clima di paura e di soggezione.

Nel mirino dell’inchiesta c’è anche Pino Di Maio, Team manager, parente di Onorato Silverio, esponente apicale del clan Cesarano, già noto alle cronache per un’inchiesta sul calcioscommesse del 2011, quando fu squalificato per tre anni. Oggi dovrà rispondere a nuove accuse, in un quadro che descrive una gestione sportiva deformata dalla pressione criminale.

Biglietti, abbonamenti e interessi economici

Uno dei capitoli più consistenti dell’inchiesta riguarda la gestione dei biglietti e degli abbonamenti, ritenuta una vera miniera economica per i clan.
Nel provvedimento del Tribunale, si cita la società incaricata della distribuzione ufficiale dei ticket e il nome di Emanuele Tremante, leader del tifo organizzato e considerato vicino alla camorra, che avrebbe persino sottoscritto un abbonamento con dati falsi.

Il documento giudiziario sottolinea: «Se pure si volesse credere alla buona fede dei vertici della società, appare difficile ritenere che ignorassero la gestione criminale di parte dei servizi». In un altro passaggio, i magistrati definiscono i dirigenti «incolpevoli ma non inconsapevoli», evidenziando una zona grigia di connivenza tacita.
Secondo la Digos, figure come Imparato, Tremante, Ingenito e Giovanni D’Alessandro avrebbero preteso abbonamenti e tessere omaggio, considerandoli simboli di status all’interno del mondo sportivo stabiese.
Un sistema che permetteva ai clan non solo di trarre vantaggi economici, ma anche di presidiare simbolicamente il territorio, controllando l’accesso fisico e sociale allo stadio.

“Solo il campo ai calciatori”

A riassumere la portata dell’inchiesta è ancora una volta Nicola Gratteri, che ha sintetizzato il meccanismo con una frase destinata a restare emblematica: «I giocatori dovevano occuparsi solo di entrare in campo e disputare le partite. Tutto il resto era gestito dalla camorra».
Parole che restituiscono l’immagine di un club soffocato dal potere mafioso, dove la componente sportiva era ridotta a semplice copertura di un sistema di controllo e profitto.

La Juve Stabia, simbolo calcistico di una città che vive di passione sportiva, si trova ora a un bivio. L’amministrazione giudiziaria nominata dal Tribunale di Napoli dovrà gestire il club per dodici mesi, con l’obiettivo di ricostruire dalle fondamenta la credibilità della società.

Un percorso che non sarà breve: serviranno trasparenza, vigilanza e un rinnovato patto tra sport e legalità, per restituire alla città di Castellammare di Stabia un calcio finalmente libero dall’ombra dei clan e da un sistema che per troppo tempo ha scambiato la passione per il pallone con il potere criminale.

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