Nuove scoperte emergono nel quartiere servile della Villa di Civita Giuliana, a Pompei, dove gli scavi finanziati con 140mila euro nell’ambito della Campagna nazionale di scavi sostenuta dalla Legge di Bilancio 2024 hanno portato alla luce elementi che confermano quanto riportato dalle fonti antiche. In un ambiente al primo piano sono state rinvenute anfore con fave, tra cui una semivuota, e un grande cesto di frutta contenente pere, mele o sorbe. Questi alimenti figuravano come integratori fondamentali per uomini, donne e bambini ridotti in schiavitù, che vivevano in celle di 16 mq, con fino a tre letti ciascuna.
Considerati “strumenti parlanti”, il cui valore poteva raggiungere migliaia di sesterzi, gli schiavi erano nutriti con una dieta più completa rispetto a molti cittadini liberi, integrando il grano con cibi ricchi di vitamine e proteine.
La collocazione al primo piano aveva una duplice funzione: proteggere il cibo dai parassiti, come topi e ratti, abbondantemente attestati nel pianterreno, e consentire una gestione più rigida del razionamento. Il controllo delle quantità distribuite poteva variare in base a età, mansioni e sesso, e poteva essere affidato ai servi più fidati, probabilmente alloggiati proprio ai piani superiori.
Il quadro organizzativo rientra in un sistema gerarchico già ricostruito attraverso studi precedenti sulla struttura del quartiere servile.
Si stima che i circa cinquanta lavoratori del quartiere necessitassero di 18.500 kg di grano all’anno, coltivati su una superficie di circa 25 ettari. Senza l’integrazione alimentare, il rischio di malnutrizione avrebbe compromesso l’efficienza degli schiavi, rendendo necessario l’apporto di frutta e legumi. In alcuni casi, gli schiavi delle ville risultavano meglio nutriti di famiglie libere in difficoltà economica.
Gli interventi archeologici si sono concentrati nel settore nord del quartiere servile, sotto l’attuale tracciato di Via Giuliana, portando alla luce strutture murarie dei piani superiori, con quattro ambienti delimitati da tramezzi in opus craticium.
Tra i reperti emersi al piano terra si segnala il calco dell’anta di una porta a doppio battente, con borchie ancora visibili, probabilmente collegata al corridoio che conduceva al sacrario. Un altro calco potrebbe appartenere a un attrezzo agricolo, forse un aratro a spalla o una stegola.
Un ulteriore calco di grandi dimensioni sembra riferibile all’anta di un portone, forse in attesa di riparazione, come suggerito dalla vicinanza alla cosiddetta stanza del carpentiere.
Il Direttore di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, ha definito queste scoperte un’ulteriore dimostrazione dell’“assurdità del sistema schiavistico antico”, in cui gli esseri umani venivano trattati come macchine. Zuchtriegel ha ricordato come la distinzione tra schiavi e liberi potesse attenuarsi nella quotidianità, richiamando riflessioni di autori come Seneca e San Paolo, e sottolineando che forme di schiavitù persistono ancora oggi nel mondo.
La Villa di Civita Giuliana è oggetto di indagini sistematiche dal 2017 grazie alla collaborazione con la Procura di Torre Annunziata, formalizzata nel 2019 da un Protocollo d’intesa nato per contrastare il saccheggio della villa. Le campagne del 2023-24 hanno indagato l’area intermedia tra le zone già note, con l’obiettivo di verificarne la rispondenza ai dati giudiziari.
Attualmente è in corso il progetto “Demolizione, scavo e valorizzazione in località Civita Giuliana”, che prevede la rimozione di due edifici sul quartiere servile e l’ampliamento degli scavi, con l’obiettivo di ricostruire un quadro più completo della planimetria e dell’estensione dell’intera villa.










