Espropri e cavilli burocratici frenano la demolizione di Palazzo Fienga, simbolo del clan Gionta

Il futuro di Palazzo Fienga resta ancora sospeso tra burocrazia e cavilli amministrativi. A rallentare l’abbattimento definitivo dell’ex roccaforte del clan Gionta sono soprattutto gli espropri, con circa una ventina di particelle da acquisire tra le oltre cento unità immobiliari che compongono lo stabile di via Bertone 46, a Torre Annunziata. Il palazzo, che si estende su una superficie di cinquemila metri quadrati, è stato sigillato il 15 gennaio 2015, subito dopo lo sgombero, e da allora è inaccessibile. Soltanto in rare eccezioni, come la visita del prefetto Michele di Bari o i recenti interventi di pulizia interni per consentire i rilievi, è stato riaperto il portone sulla monumentale scalinata in stile vanvitelliano.

Molti degli immobili risultano formalmente tornati ai vecchi proprietari o ai loro eredi, ma si tratta di una disponibilità soltanto teorica. Agli ex titolari sarà comunque riconosciuto un indennizzo, calcolato tenendo conto sia del valore di mercato sia dello stato di degrado dell’immobile. Tuttavia, nel caso in cui vi siano pendenze economiche con lo Stato o l’Agenzia delle Entrate, l’indennizzo sarà utilizzato prioritariamente per coprire tali debiti.

Nei giorni scorsi il commissario di governo Paolo Delli Veneri ha firmato l’ordinanza commissariale di “dichiarazione di pubblica utilità” per tutto il compendio immobiliare, un passaggio cruciale che apre la strada agli espropri e alla futura demolizione. “Ci dovrà essere la variante urbanistica da parte del Comune – ha precisato il commissario – mentre noi, intanto, stiamo redigendo il piano particellare così da mettere mano agli espropri”.

Parallelamente, l’altro fronte operativo riguarda la progettazione della nuova destinazione dell’area: “L’altro fronte su cui stiamo andando avanti insieme con la struttura di progettazione dell’Agenzia del Demanio è la redazione del progetto della piazza così da portarlo in conferenza dei servizi dove chiederemo il parere vincolante del Comune e della Soprintendenza alla tutela del paesaggio. L’immobile non è sotto vincolo storico – ha specificato Delli Veneri – ma è comunque una zona di pregio, per questo faremo delle indagini anche dal punto di vista della caratterizzazione delle murature”.

Tra settembre e ottobre è prevista la presentazione ufficiale del progetto “del Parco urbano e della Piazza della Legalità”, durante un workshop organizzato con i dottorandi dell’Università Federico II. Intanto, la struttura commissariale procederà alla gara europea per l’abbattimento, che dovrà tener conto della particolare situazione urbanistica dell’area, caratterizzata da edifici fatiscenti e impalcature di sostegno.

La “fabbrica della morte”, così definita dai magistrati, è stata per anni il simbolo del potere criminale dei Gionta. Fu l’ultima residenza del capoclan Valentino Gionta e della sua famiglia. L’edificio nacque a fine Ottocento come polo produttivo dell’arte bianca: voluto da Annibale Fienga per ospitare un mulino favorito dalla vicinanza al porto, nel tempo passò di mano in mano fino a diventare il quartier generale della camorra.

Nel cortile interno si decidevano alleanze e condanne a morte, si pianificavano traffici illeciti e si dividevano le zone di influenza. Neppure il terremoto del 1980, che rese la struttura pericolante, riuscì a scalfirne l’utilizzo: le ordinanze sindacali per la messa in sicurezza rimasero lettera morta. All’esterno il palazzo appariva fatiscente, ma all’interno era il cuore pulsante del potere criminale, in un perenne contrasto tra decadenza esibita e potere ostentato.

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