Una faida interna alla camorra stabiese, un killer latitante prestato da un altro clan, due vittime colpite in pieno centro cittadino e una condanna arrivata ventuno anni dopo. È la vicenda del duplice omicidio di Giuseppe Zincone e Massimo Del Gaudio, avvenuto a Castellammare di Stabia nel 2004 e rimasto per anni un cold case della criminalità organizzata campana. Oggi, grazie alle testimonianze di due collaboratori di giustizia, arriva una nuova condanna all’ergastolo per Antonio Occidente, ritenuto uno dei mandanti dell’agguato.
Una faida tra clan: lo sfondo dell’omicidio
Il duplice omicidio si inserisce nel contesto della violenta faida di camorra che ha attraversato Castellammare di Stabia nei primi anni 2000, contrapponeva il clan D’Alessandro, egemone sul territorio, agli scissionisti del gruppo Omobono-Scarpa. In questo clima di vendette incrociate e regolamenti di conti, Giuseppe Zincone, soprannominato Peppe ’a ranocchia, ritenuto vicino agli Omobono-Scarpa, diventò un bersaglio da eliminare.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Zincone era l’obiettivo designato, ma quella sera si trovava in compagnia del cognato Massimo Del Gaudio, che fu ucciso soltanto per trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Il ruolo di Antonio Occidente: il mandante
La svolta nel caso è arrivata con le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: Pasquale Rapicano, ex appartenente al clan D’Alessandro, e Ciro Sovereto, ex killer del clan Vollaro. Le loro testimonianze hanno permesso di ricostruire l’intera dinamica dell’agguato e il ruolo centrale di Antonio Occidente, oggi cinquantunenne, già condannato all’ergastolo per altri episodi criminali.
Secondo quanto emerso in aula, Antonio Occidente fu tra i promotori del delitto, partecipando attivamente alla sua pianificazione. Sarebbe stato lui, in particolare, a indicare a Sovereto la vittima da colpire. Le sue responsabilità sono state accertate dalla Corte d’Assise di Napoli, che ha accolto integralmente la richiesta del pubblico ministero Giuseppe Cimmarotta, emettendo una nuova condanna all’ergastolo.
Il killer in prestito: Ciro Sovereto e il legame con i Vollaro
L’esecutore materiale dell’agguato fu Ciro Sovereto, all’epoca latitante del clan Vollaro di Portici. Sovereto era stato accolto e protetto proprio dai D’Alessandro, che lo impiegarono come sicario per colpire Zincone. La sua posizione è stata giudicata separatamente, e oggi Sovereto è collaboratore di giustizia: per lui è arrivata una condanna a una dozzina di anni di carcere.
La sua figura rappresenta un aspetto singolare della camorra campana: l’uso di killer “in prestito” tra clan alleati, una pratica che serviva a rendere più difficili le indagini e a blindare il controllo del territorio. Fu proprio Sovereto a raccontare nei dettagli la preparazione e l’esecuzione del duplice omicidio, fornendo elementi chiave per la riapertura del caso.
Il vertice di morte svelato da Rapicano
Un altro contributo fondamentale alle indagini è arrivato da Pasquale Rapicano, anche lui oggi collaboratore di giustizia. Secondo la sua ricostruzione, fu presente a un summit di camorra decisivo, in cui si decise la sorte di Zincone. Durante quell’incontro, si stabilì che il bersaglio andava eliminato con urgenza, e si avallò l’utilizzo di Sovereto come sicario esterno.
Le dichiarazioni di Rapicano sono state ritenute attendibili dai giudici, anche grazie alla loro piena concordanza con quelle di Sovereto e con gli esiti delle indagini dei carabinieri coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.
La sentenza dopo 21 anni: ergastolo confermato
Dopo oltre due decenni dal duplice omicidio consumato in via Viviani il 18 ottobre 2004, la giustizia ha posto il suo sigillo su uno dei tanti episodi oscuri della camorra stabiese. La Corte d’Assise di Napoli ha accolto le richieste della pubblica accusa, condannando Antonio Occidente all’ergastolo per il duplice omicidio.
Questa sentenza chiude uno dei tanti cold case della camorra, rimasti irrisolti per anni a causa dell’omertà e della difficoltà di accertare i ruoli tra i diversi clan coinvolti. Oggi, grazie alla scelta di collaborare con la giustizia da parte di due ex protagonisti del sistema criminale, è stato possibile risalire alla verità su un delitto che aveva lasciato una ferita aperta nel Centro Antico di Castellammare.