Napoli e le realtà sindacali : odio e amore all’ombra del Vesuvio. Ormai non c’è processo industriale, formazione professionale pubblica o iniziativa lavorativa di sorta che non presupponga un ruolo decisivo svolto dalle forze sociali. A prescindere dalle sigle il sindacato è oggi inquadrato a Napoli in una sorta di dualismo esistenziale, di contrapposizione d’essere tra “angelo e demone” in un’eterna disputa tra i diritti dei lavoratori e il datore di lavoro. Tante le battaglie in atto, pensiamo alla questione dell’Edenlandia e di tanti altri progetti come Bagnoli futura , per garantire sulla carta occupazione e rispetto delle regole tra chi il lavoro sacrosantamente lo chiede e chi a volte dispoticamente lo offre “ a certe condizioni”.
In un marasma politico senza fine, tra rinvii a giudizio e procedimenti giudiziari eccellenti a carico di pezzi da novanta della politica campana, i sindacati devono barcamenarsi nel tentativo di “salvare il salvabile” : quando si ha a che fare con il futuro di migliaia di famiglie, quando dalla stipula o meno di un contratto dipende la sopravvivenza di tanti onesti lavoratori ( perché di sopravvivenza si parla e non di surplus ) la questione diventa drammaticamente seria .
E’ ovvio che dietro il ruolo sociale ricoperto c’è l’uomo, pulito o corrotto, onesto o votato all’imbroglio : ma generalizzare una figura nata per garantire i diritti di chi opera nella società è commettere un madornale errore. Molti criticano il sindacato e i sindacalisti ma tutti poi vi ricorrono quando la tempesta incombe sui posti di lavoro, quando si è commesso , sebbene involontariamente, un errore che può costare “molto”, quando in sintesi si vuole “salvare il posto”. In questi casi è quasi impossibile, tranne in casi estremi di palese malafede da parte del reo , che il sindacato volti le spalle o abbandoni il lavoratore a se stesso.
Un po’ un ruolo “paterno” quello dei sindacalisti che devono fare da cuscinetto tra le esigenze societarie e le aspettative della forza lavoro. Napoli necessita oggi più che mai di queste energie sociali nell’accezione più pulita del termine nella certezza che non bastano “poche mele marce” a screditare un’intera categoria.
Alfonso Maria Liguori