Negli Sati Uniti sta per partire una nuova sperimentazione  nella lotta al Coronavirus, la notizia è stata riportata dal New York Times, che riferisce di un nuovo studio clinico pronto per essere testato su pazienti positivi al Coronavirus

Nelle prossime settimane la Celularity, società di ricerca americana con sede nel New Jersey, testerà su un campione di 86 pazienti adulti affetti da Covid-19, l’uso di cellule staminali raccolte dalla placenta. La sperimentazione verrà effettuata su soggetti nei quali è stata diagnosticata un’infezione da Covid-19 allo stadio iniziale.




Il trattamento consisterebbe nell’utilizzo di cellule staminali, le Natural Killer, normalmente contenute nella placenta e sviluppate dal feto nel grembo materno come prima linea di difesa contro le eventuali infezioni che la madre potrebbe contrarre durante la gravidanza.

Secondo il fondatore e amministratore delegato della società, Robert Hariri, non si tratterebbe di una cura, ma piuttosto di una terapia preventiva che ha lo scopo di contenere l’infezione impedendole di evolversi in uno stadio più grave. I pazienti trattati con questo metodo, nell’ipotesi degli scienziati della Celularity, dovrebbero sviluppare una malattia con sintomi più lievi e con un decorso più rapido.




Tuttavia non tutto il mondo scientifico è concorde. Secondo Paul Knoepfler, esperto di staminali presso l’University of California a Davis,  si potrebbe anche ingenerare un effetto contrario. Secondo lo studioso le cellule potrebbero anche inasprire la risposta immunitaria. “Non sappiamo quali potrebbero essere gli effetti di questa cura”, avverte Paul Knoepfler. Ciò potrebbe causare danni maggiori provocando la morte di tantissime cellule respiratorie.

La sperimentazione pur avendo ottenuto l’attenzione di Rudy Giuliani, avvocato personale del Presidente Donald Trump, avrà in questa prima fase una sperimentazione “anomala”, il trattamento sperimentale non sarà confrontato con una molecola placebo, per vedere se le cellule effettivamente alleggeriscono la malattia nei pazienti trattati più di quanto farebbe una cura placebo.



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